Intervista

Intervista a Roberto Crippa Jr.

[di Susanne Capolongo]
Questa mostra non è soltanto un'importante e significativa occasione per ammirare opere storiche, ma anche per omaggiare un sodalizio professionale e personale tra Roberto Crippa e Renzo Cortina, cosa ricordi della loro amicizia?
Mio padre considerava Renzo un amico oltre che un gallerista fidato, non per nulla alla Galleria Cortina espose molte volte. Il loro non era solo un rapporto professionale, li legava una sincera amicizia.
Renzo Cortina era un grande comunicatore e mio padre, spesso e volentieri, finiva sui rotocalchi mondani perché allora arte, cultura e spettacolo erano imprescindibili. Alla Galleria Cortina si potevano incontrare giornalisti, scrittori, collezionisti e naturalmente artisti, era un ambiente in continuo fermento.
Mentre per me Renzo Cortina è stato un riferimento sostanziale dopo la morte di mio padre, avvenuta prematuramente e improvvisamente il 19 marzo 1972. Io ero sovraccaricato di incombenze legate alla sua attività e Renzo è stato tra le persone a me più vicine.
La collaborazione e soprattutto l’amicizia si è traslata di padre in figlio, il legame continua tra te e Stefano Cortina, da quando vi frequentate?
Da sempre, io ero un adolescente e lui un bambino, lo ricordo in galleria da suo padre, ma non ci frequentavamo. Dopo la morte dei rispettivi padri ci siamo conosciuti e negli anni la frequentazione è proseguita, anche se è stata discontinua, per me la Galleria Cortina ora come allora rappresenta un riferimento per l'arte di mio padre. Il nostro rapporto è ripreso nel 1997 quando Stefano allestì una mostra di mio padre nella sua nuova Galleria in Via Mac Mahon.
Roberto Crippa era anche un famoso aviatore, si pensa che la sua arte sia il risultato della visione che percepiva dall'aeroplano, dai panorami e dai colori distorti dall’altitudine e dalle discese ripide che amava affrontare.
Non è cosi, o perlomeno non è cosi per quel che riguarda la sua produzione in toto. Sicuramente le Spirali sono il suo mezzo espressivo "spazialista", la prima Spirale la produsse nel 1947 e l’aviazione acrobatica fu successiva, ma come lui amava dire le Spirali sono l’aspirazione al volo, non sono altro che l’idea di un’acrobazia perfetta.
Il volo era per lui come l’arte, due elementi fondamentali della sua vita, l’arte la professione e il volo la passione. La sua pittura era la conquista di nuovi spazi. Mentre se pensiamo ai Totem sono il prodotto dell'influenza Americana ispiratosi ai totem degli Indiani d'America.
Personalmente non ho mai pensato a mio padre come a un’artista informale, come tanti l’hanno definito, ma come a un’artista figurativo, ha sviluppato gli insegnamenti dei suoi tre Maestri Carrà, Funi e Carpi adattandoli a un Suo personale modo espressivo, pensiamo ai soli, ai totem che sono personaggi, dietro a ogni spirale ci sono anche altre figure.
Ha fatto uso di molteplici materiali: sugheri, piastre, tela, corteccia, cartoni, plastiche, ferro, amiantite, ecc… Secondo te quale è stato il materiale a lui più congeniale?
Il periodo migliore sono gli anni '50, le prime Spirali datate '47 fino al '52 o i collage primi anni '50, per lo meno quelle che io amo di più. Per quel che riguarda i Sugheri non trovo che siano tutti ben riusciti, d’altro canto non tutto può essere “l'opera prima”. Personalmente amo molto le "amiantiti" dove utilizzava rotoli di gomma vulcanizzata, sono collage rigorosi nei grigi e nei bianchi oppure coloratissimi, composizioni tecnicamente perfette, dove la ricerca sperimentale trova il suo fine, si placa la violenza gestuale dei grovigli materici o dei grandi sugheri. E poi amava molto fare scultura e le sue ceramiche create a Albissola.
Mio padre fu il primo pittore a fare la mostra a Palazzo Reale Sala delle Cariatidi, negli anni 70 vorrà dire pure qualcosa o no?
È stato un artista prolifero, Geometrici, Spirali, Totem, Sugheri, Amiantiti sono i suoi periodi produttivi più importanti. Quello che mi ha sempre colpito nell'opera di tuo padre è la gamma cromatica utilizzata, equilibrata nel gusto e nella sensibilità. Quanto era fondamentale il colore nel suo operare? Predominava sulla materia o viceversa?
Era uno sperimentatore, colore e materia erano primari nel suo agire. Io sono nato e cresciuto con l'odore dei colori, nel suo studio cartoni, carte, legni, olii e ferri erano sparsi ovunque. Il suo operare è il giusto equilibrio tra materiali di volta in volta utilizzati e i cromatismi prescelti per quella specifica opera. Il colore usato nelle opere è di elevata forza evocativa, rende emozionanti le sue campiture e le diverse forme.
Roberto Crippa ha vissuto gli anni del dopoguerra, ricchi di fermento, è stato promotore di quella rottura con il passato proponendo un nuovo modo di fare arte. Le sue frequentazioni e amicizie annoveravano da Fontana, a Dova, Peverelli, Milena Milani, Baj, Morlotti, Cassinari, Adami, Enrico Donati, Carlo Cardazzo, Roberto Sanesi, Guido Ballo, Dino Buzzati ma anche Victor Brauner, Sebastian Matta, Wilfredo Lam, Yves Klein, Jean Tinguely, Max Ernst solo per citarne alcuni. Hai qualche ricordo particolare?
Erano tutti amici, colleghi fraterni, con alcuni di questi si frequentavano quotidianamente, discutevano, bevevano, gioivano per le vendite di uno o dell'altro, non esisteva rivalità. In casa nostra venivano Quasimodo, Visconti, Lattuada, Alain Delon, Dova, Peverelli, Fontana e tanti altri. Nell'ambiente di Albisola passavano le estati, a volte producendo ceramiche a due mani, si confrontavano e si consigliavano. Con Fontana dopo una giornata di lavoro nei forni si sfidavano in estenuanti partite di boccette al Bar Testa, tutti insieme frequentavano la Trattoria il Pescetto. Con Dova e Peverelli creavano sempre scompiglio, la loro ricerca, la loro stravaganza e le loro tecniche a volte erano viste troppo irrompenti, mi ricordo che mi raccontarono che furono allontanati da Albisola per la confusione che creavano nei forni, ma durò molto poco, tant'è che mio padre nel 1962 prese la cittadinanza albisolese. Nel '63 fu inaugurata la "Passeggiata degli Artisti" dove partecipò insieme a Fontana, Capogrossi, Fabbri, Sassu, Rossello, Luzzati e tutti gli altri. Poi ebbe fedeli collaboratori come Hisachita Takahaski, Loris Ferrari, Antonio Secci per i quali fu mentore e amico. Per altro mio padre nel 1951 fu uno dei primi artisti italiani che partecipò a un'action painting a New York, da qui le numerose amicizie con gli artisti americani e con Alexander Jolas. Conobbe Picasso, artista che ammirava molto, non per copiarlo ma per apprendere da lui la strada maestra per un personale percorso. Ricordo ancora che a casa nostra in Via Boccaccio si ritrovava con Dova e Peverelli per dipingere sul tavolo della cucina, mi raccontò che una volta dipinsero, loro, una “marina” alla Carrà e poi la presentarono al Maestro il quale, entusiasta dell’eccelsa qualità dell’opera la firmò! Oppure quando entrò in Accademia con un cavallo risalendo le gradinate! Ci sono state amicizie fraterne come quella con Max Ernst che alla sua prima mostra nel 1950 a New York acquistò otto dipinti, ma anche Duchamp gli fu amico e collezionista delle sue opere, con Fontana si vedevano quotidianamente, spesso era in studio da mio padre, fecero alcuni lavoro a due mani, mio padre di lui diceva sempre che l’Italia aveva perso un grande pittore e un grosso personaggio.
Michel Tapié ha scritto "Crippa non ha mai smesso di esplorare in profondità gli orizzonti che lo attirano, senza lasciarsi sedurre dalle etichette di "moda" ..." (Edizione Galleria Cortina 1969) le sue opere si facevano notare per la forza, l'aggressività e l'eccentricità. E nella vita privata come era?
Era un uomo piacevolissimo, appassionato, dinamico, sportivo, amante della velocità ( famose le sue auto) amava la libertà, sopra tutto rispettava la libertà altrui, era spiritoso, divertente e dolce. Era un uomo di grande cultura. La sua dinamicità era intrinseca alla sua pittura. Il suo vero interesse era l’uomo contemporaneo, il capire l’oggi e interpretarlo, un esempio fu la mostra tenutasi da Cardazzo nel 1956, l’esposizione era composta da due grandi tele e una serie di sculture intitolate la “Battaglia di Budapest” . Ecco, quella fu la sua presa di posizione a favore del popolo ungherese. La sua denuncia era espressa con la forma e il colore delle sue opere. Era un uomo attivo, curioso, sempre in movimento. Il volo la sua grande passione, non ne poteva fare a meno, dipingeva e poi correva a Bresso a volare. La sua sportività l'ha pagata, prima ancora dell’incidente mortale aveva avuto un grave incidente con il Buker, un aereo biplano, era caduto e si era spezzato entrambe le gambe dalle ginocchia in giù, era stato un danno irreparabile di grande sofferenza fisica e psicologica. Una giornata con lui non era mai monotona, tra noi non correva grande differenza generazionale, quindi ci prodigavamo in gare sportive. Il suo più grande difetto è che era un eterno "giovane", ma non per questo superficiale, era un uomo maturo, grande osservatore, era sicuramente un uomo all'avanguardia. Come padre era attento e premuroso, ci teneva molto che studiassi e mi applicassi negli sport, dove penso di avergli dato molte soddisfazioni, mi veniva a vedere durante le gare di nascosto, poi mi telefonava per complimentarsi. Era per sua natura di spirito futurista.
Victor Brauner, suo grande amico definì così l’arte di Roberto Crippa " ..una collera primordiale spinta a liberare un'idea nella magica potenza della spinta verso il viaggio"
La sua inesauribile esuberanza si esprimeva attraverso l’arte, in rapporto alla sua breve vita ha molto prodotto, spinto sempre da un’esigenza di evoluzione sperimentale. Mi diceva sempre che un pittore deve crescere nel duro lavoro quotidiano, sapere far buon uso del disegno, lui stesso tutti i giorni disegnava e scarabocchiava su qualsiasi supporto trovasse a disposizione, ma soprattutto conoscere l’armonia dei colori, la profondità dello spazio e nel contempo mantenere l’umiltà di non sentirsi mai arrivato.

Mostra n° 700 della Galleria Cortina, dal 1962