LO SPAZIALISMO



IO, ERRATICO VAGANTE

[di Roberto Crippa]

Le mie testimonianze come artista non possono avere che una data di inizio: la fine della guerra. Se per i giovanissimi questa non è una data, per gli uomini della mia generazione, che dalla guerra essi stessi uscivano giovanissimi, non è solo una data, ma un simbolo, un’epoca e insieme l’inizio di un’altra era. La guerra e la sua fine ci avevano portato, a parte ogni considerazione di ordine sociale o morale, a un punto di crisi in tutti i campi e specialmente a uno enorme in quello artistico: ogni cosa era stata scomposta sicché non era possibile reperirne, se non per ipotesi, l’aspetto complessivo. In questo clima arruffato, ma splendido di fermenti, il crescendo d’insoddisfazione individuale, di rivolta sociale, di sete di libertà furono la spinta verso una conoscenza profonda, quasi segreta di un’immagine nuova dell’umanità.

Si formavano allora nuovi centri intellettuali e i giovani artisti si trasformavano in nomadi che diffondevano idee nuove, con una metodologia da “erratici vaganti” medievali. Non volevamo avere o proporre nuove frontiere, ma non averne affatto: Rimbaud dice che l’artista è “un ladro di fuoco… sempre di fronte all’ignoto”.

Il mio lavoro iniziò quindi in questo clima di spazialità dilatata nel quale io cercavo, con vocazione costante, un valore mio, che soddisfacesse la mia poetica e il mio io, quello che trovai allora, che elaborai sempre e che è rimasto sostanzialmente invariato fino a ad oggi, poiché quelli che generalmente si usa chiamare “periodi” nel discorso di un’artista non sono per me che approfondimenti di uno stesso problema: l’uomo e il suo mondo, e la convinzione che l’uomo attraverso se stesso migliora l’uomo e lo porta verso la perfezione.

“Risvegliati uomo e contempla la luce! Le stelle ti sono state concesse, osservale uomo!”, così il monaco Basilio Valentin parlava ai maghi viaggiatori alla ricerca della pietra filosofale: parole a me vicine e care, quasi scritte da mano magica su grandi spazi, in cui sogni di avventura si allargano in modo stupefacente, con la sicurezza che l’esperienza e l’inventiva condurranno alle magnifiche rivelazioni che si intuiscono. Lo spazio non è per me mero oggetto di speculazione o di costruzioni astratte, ma, addentrandomivi, connaturato col divenire dell’uomo e del mondo in cui la sua azione si estende. E’ facile per chiarezza e per comodità etichettare il lavoro di un artista: così io posso dire, per esempio, di avere fatto in un tempo, e tra i primi, dell’action painting con le spirali e dei collages polimaterici, ma prevalentemente di sughero o amiantite, in un altro, ma credo che sia le spirali, veloci indicazioni accentuate dinamicamente di un mondo di scoperte e di presagi nuovi, e sia i collages, interpretati non come isolamento di forme da un fondo, ma come unità spaziale in una sintesi che afferra uomo e universo, siano ambedue aspetti di un mondo da me ricreato e che in tutta la sua frammentarietà invade l’individuo.

Una nuova nozione di soggettività è sempre alla base del lavoro dell’artista che estende le sue ricerche nel tentativo di arrivare al fondo e al perché dei suoi problemi: io cerco un’articolazione spaziale più complessa nella quale si determini con maggior coscienza un impianto di strumentazione espressiva adatta a nuovi orientamenti figurativi, quasi uno strumento linguistico dove forma e colore sembrino risolversi in una sintesi in cui lo spazio domini (o sia dominato?). Una vibrazione nuova si inserisce spesso nel mio lavoro: un senso di moto stabile, o la materia, intesa nelle sue possibilità dinamiche, o una nuova struttura della forma, o una rivoluzione nella gamma cromatica; sono tutte cose che, coesistendo materialmente, impegnano l’artista, spirito sempre aperto alle tesi più audaci, a una possibilità di espressione che lo porta a una drammatica sintesi di se stesso. Si deve “soffiare… soffiare forte e costantemente sul fuoco” perché dall’Athanor scenda il metallo più puro.

In fondo, l’arte è per me come la magia per il mago: Gilles de Raìs le offrì tutto, sempre di più, in una specie di furore demoniaco e autodistruttivo, fino a darle tutto se stesso: unico vero modo per esserlo veramente, se stesso.



“Carte segrete”, Rivista trimestrale di lettere e arti, anno IV, n. 13, gennaio-marzo 1970, pp. 16-24

Mostra n° 700 della Galleria Cortina, dal 1962